Nutrito tra le pompe e lo splendore delle ricchezze, fra quel basso corteggio che coglie i fortunati del secolo alle prime porte della vita, per corromperli, per cattivarli, per farli fruttare, egli scorse dai primi suoi giorni che l'umiltà, e la staccatezza sono verità, bellezza, e le prescelse: posto sotto la disciplina del suo celeste cugino San Carlo, in presenza di quella virtù severa, e malinconica, l'animo puerile di Federigo non fu disgustato dalla severità, e sentì l'ammirazione e la docilità volonterosa per la virtù. Si diede ardentemente allo studio dalla fanciullezza: ma i metodi stolti d'insegnamento, ma la confusione e la stoltezza delle cose insegnate, il sopracciglio comicamente grave dei maestri lo svogliarono dall'apprendere; e fu questo, o doveva essere il primo segno della eccellenza del suo ingegno. Stomacato dei libri e delle lezioni si diede tutto all'armi e ai cavalli; ma durò in quegli esercizj sol tanto quanto bastasse a mostrarlo disposto ad ogni esercizio che domandi una prontezza di qualunque genere. Il fanciullo voleva sapere, e andava interrogando tutti quegli che egli credeva sapienti; e da tutti gli veniva risposto, che i libri e la scuola soltanto potevano condurlo alla scienza. Sospinto da questa uniformità di consenso, egli tornò voglioso ai libri ed ai maestri; e finì a stare con quelli perseverantemente, vincendo con la volontà le ripugnanze delle quali egli non poteva allora comprendere la ragione profonda. Giovanetto fra i giovanetti nello studio di Pavia, egli trovò quivi stabilite consuetudini, massime, opinioni che distribuivano lode e biasimo alla differente condotta; e non ne fece alcun conto: regolò la sua condotta coi suoi principj, come avrebbe fatto in un eremo, senza esitazione, senza braveria; e solo da prima, opposto quasi in tutto al tipo prescritto dall'opinione, rifiutando tutte le cose che davano la gloria, facendo quelle che rendevano ludibrio, fu in poco tempo oggetto della venerazione dei suoi condiscepoli.
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San Carlo Federigo Pavia
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