Dopo qualche momento però, ruppe egli il silenzio con queste parole: «Monsignore illustrissimo... dico bene? In verità sono da tanto tempo divezzato dai prelati che non so se io adoperi i titoli che si convengono... che si usano».
«Voi non potete errate», rispose sorridendo gentilmente Federigo, «se mi chiamate un uomo pronto a tutto fare, a tutto soffrire per esservi utile».
«Sì?» rispose il Conte, «davvero, Monsignore? Tale è il linguaggio comune... dei preti principalmente, i quali dicono sempre che non vivono per altro che per servire altrui. Ma per voi... tutti dicono che non è un semplice linguaggio di cerimonia. Ebbene, se fossi venuto per accertarmene? per vedere se egli è vero che voi siete così dolce, così paziente, così inalterabilmente umile? Se fossi venuto, per soddisfare ad una mia curiosità?»
«No, no», replicò, sempre sorridendo ma con una seria espressione di affetto il buon vescovo, «non è curiosità in voi di vedere quest'uomiciattolo che mi procura la gioja inaspettata di vedervi: sento che una cagione più importante vi conduce».
«Lo sentite, Monsignore? qual cagione di grazia? dicono tanti che voi sapete discernere i pensieri degli uomini? discernetemi il mio, per... via mi fareste piacere: mostratemi che vedete nel mio cuore più ch'io non vegga: parlate voi per me, che forse, forse, potreste indovinare».
«E che?» disse il Cardinale come affettuosamente rimproverando: «Voi avete una buona nuova da darmi, e me la fate tanto sospirare?»
«Una buona nuova! io! una buona nuova! ho l'inferno in cuore, e vi darò una buona nuova!
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