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      Andiamo». I lettighieri che deposta la lettiga avevano ascoltata a bocca aperta questa arringa, ripresero le cinghie su le spalle, continuarono la loro strada, le mule seguirono: e si giunse alla porta del castello.
      Gli scherani del Conte che al suo avvicinarsi al castello s'incontravano sempre più frequenti, già stupiti di quel suo uscir solo al mattino in un giorno di tanto movimento e di tanto concorso, lo erano ancor più allora di vederlo tornare al seguito d'una lettiga chiusa, a paro d'un prete, con quelle cavalcature sconosciute: ma quello che portava al sommo il loro stupore si era di vedere il loro padrone senz'armi. Quella partenza aveva dato luogo a molte congetture, e fatta nascere una aspettazione di qualche cosa di nuovo, ma il ritorno invece di soddisfare la curiosità la cresceva e la impacciava davantaggio. Era una preda? Come l'aveva fatta il padrone solo? e perché il vincitore tornava disarmato? O che diamine era? Chinandosi umilmente davanti al padrone che passava, cercavano essi di spiare sul suo volto qualche indizio di questa faccenda, ma il volto del Conte era impenetrabile: e gli scherani rimanevano a guardarsi l'un l'altro con la bocca aperta.
      Alla porta, il Conte scese dalla mula, e fece cenno di fare altrettanto a Don Abbondio che lo guardava attentamente, appunto per non perdere un cenno; e veduto questo si lasciò tosto sdrucciolare dalla sua mula. Il Conte disse ai palafrenieri: «aspettate qui»; disse al curato di seguire la lettiga; andò egli dinanzi, e disse ai lettighieri: «seguitemi». Tutto si fece com'egli aveva imposto: il Conte entrò col suo seguito nel cortile, si avviò alla stanza dov'era Lucia, ed entrato in quella che le era vicina; fece restare i lettighieri, si chiuse dentro, e comandò che la lettiga fosse posta a terra.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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