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      All'indomani alzatosi al solito di buon mattino, attese il Cardinale alle consuete operazioni, s'intrattenne alquanto col Conte del Sagrato, il quale non aveva mancato di venire a quella stazione della visita, come negli altri giorni; poscia andò nella Chiesa come era uso. Le funzioni non erano ancora terminate che Lucia giunse con Agnese alla soglia della casetta paterna. Agnese aveva parlato per tutta la strada; la sua gioja pel ritorno trionfale, la gioja di ricondurre salva a casa la figlia da tanti pericoli, quella d'esser divenuta conoscenza di Monsignore illustrissimo, l'aspettazione dell'accoglimento che le farebbero i parenti, i conoscenti, tutti i paesani, erano sentimenti espansivi e distinti, che si prestavano assai bene alla sua loquacità naturale. Ma i sentimenti di Lucia erano misti, intralciati, ripugnanti: erano di quelli sui quali la mente s'appoggia con una insistenza dolorosa, per distinguerli e per dominarli: di quei sentimenti che non cercano di esser comunicati, né trovano ancora la parola che li rappresenti. Rivedeva ella la sua casa, quella dove aveva passati tanti anni tranquilli, che aveva tanto desiderato e sì poco sperato di rivedere; ma quella casa che non era stata per lei un asilo, quella casa dove aveva data una promessa che non credeva di poter attenere, dove aveva tante volte fantasticato un avvenire, divenuto ora impossibile. Era terribilmente in forse di Fermo: Agnese non le aveva potuto dire se non quello ch'ella stessa sapeva confusamente; che Fermo cioè, dopo il tumulto di Milano del giorno di San Martino, aveva dovuto fuggire dalla città, e uscire dallo Stato per porsi in salvo.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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