.. ma non posso parlare».
«Come?» disse il Cardinale con volto serio e dignitoso: «non sentite che voi siete ora qui per render conto al vostro superiore? e che avendo tralasciato, negato di fare ciò che nella via ordinaria, era il vostro dovere, avete a dirne una buona ragione, o a confessarvi colpevole?»
Queste parole fecero tosto rientrare in sè Don Abbondio. Egli aveva peritanza dell'arcivescovo, e paura di Don Rodrigo, e come questo sentimento era incomparabilmente più forte nell'animo suo, così aveva quasi fatto svanire il primo. Pensava Don Abbondio che Federigo rimproverava, ma che Don Rodrigo dava, e al paragone i rimproveri gli parevano poca cosa, e l'autorità stessa non gl'imponeva troppo quando pensava al rischio della persona. Ma quando vide l'autorità spiegarsi, e volere essere riconosciuta si trovò come annichilato: la riverenza presente divenne in quel momento più forte del terrore lontano.
Replicò adunque umilmente: «Monsignore, io sono il più sommesso degli inferiori di Vossignoria illustrissima... ma ho detto così... Vede bene, Monsignore, ognuno ha cara la sua pelle. Non tutti i signori sono santi, come Vossignoria. Basta, dirò tutto: ma so che parlo ad un prelato prudente, che non vorrebbe perdere un povero curato».
«Dite sicuramente», replicò il Cardinale, «io desidero di trovarvi senza colpa».
«Deve dunque sapere Monsignore illustrissimo», ripigliò Don Abbondio «che la vigilia appunto del giorno stabilito per quel benedetto matrimonio (parlo a Vossignoria, come in confessione) io me ne tornava a casa tranquillamente, senza una cattiva intenzione al mondo, sallo Dio, quando.
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