Dobbiamo ripetere dagli altri quello che forse non sapremmo dare noi; dobbiamo riprendere altrui, e sa Dio quello che avremmo fatto noi nel caso stesso. Ma guaj se io dovessi prender la mia debolezza per misura del dovere altrui! Pure è certo ch'io vi debbo l'esempio: non debbo essere il fariseo che impone altrui insopportabili carichi, ch'egli non vuol pure toccare colla punta del dito. Or bene: se voi m'avete veduto trascurare qualche mia obbligazione per pusillanimità, ditemelo francamente, correggetemi, fatemi ravvedere».
Vedendo Federigo che Don Abbondio non rispondeva, e sospettando ch'egli forse fosse rattenuto dal timore di offenderlo, riprese con tuono umile e cordiale: «Dite, che dinanzi a quel Dio che ci ascolta, io vi protesto, che non che sdegnarmene, vi sarò grato, e v'avrò più caro che mai non vi avessi». Ma i pensieri di Don Abbondio erano tutt'altri da quelli che s'immaginava il Cardinale.
- Oh che tribolatore! - pensava Don Abbondio. - Anche sopra di sè! purché frughi, rimescoli, esamini, critichi, è contento. Ora io andrò a fargli l'esame di coscienza! Farebbe meglio a non farmi tanta inquisizione sui fatti miei, che dei suoi io non mi piglio briga. - Ma come bisognava pure dir qualche cosa ad alta voce, ecco ciò che disse Don Abbondio.
«Oh Monsignore, mi burla! Chi non conosce il petto forte, l'animo coraggioso di Vossignoria illustrissima?» A questa dichiarazione fece poi nel suo cuore Don Abbondio questo commento: - Anche troppo, che un po' di giudizio starebbe meglio: lasciare andar l'acqua all'ingiù, e non andare a comprarsi le brighe, nelle faccende cercare tutti i musi duri per cozzare e fino nelle visite andare a pescare tutti i pericoli, schivare le strade piane, e andare in cerca dei greppi e dei precipizi per fiaccarsi l'osso del collo.
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