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      Don Abbondio sulle prime, quando aveva veduto che s'intonava un rabbuffo, aveva sentito un turbamento, una stizza, una tristezza tutta carnale; non poneva mente al senso della ammonizione, ma al tuono con cui era fatta: e non s'affannava d'altro che di sentirla finire. Ma dalle dalle, la pioggia continua di quelle parole dopo d'avere sdrucciolato su quella terra arida, l'aveva pure penetrata: erano conseguenze impensate, applicazioni nuove, ma d'una dottrina antica pur nella mente di Don Abbondio; il quale cominciò davvero a comprendere quanto la sua condotta fosse stata diversa da quella legge, ch'egli stesso aveva sempre predicata. Taceva egli; ma non più di quel silenzio impersuasibile e dispettoso: taceva come quegli che ha più cose da pensare che non da dire. Il Cardinale s'accorse dell'effetto delle sue parole; ne sentì consolazione e pietà, in un punto, e riprese:
      «Queste però, signor curato, non debbono essere le ultime nostre parole su questo affare. Sa il cielo come io avrei desiderato di tener con voi tutt'altro discorso. Siam vecchi entrambi: sa il cielo se m'è doluto di dover contristare con rimproveri questa vostra canizie; quanto avrei voluto piuttosto racconsolarmi con voi delle nostre cure comuni, dei nostri guaj, col pensiero della beata speranza, alla quale già già tocchiamo. La mezza notte è vicina; lo Sposo non può tardare: colmiamo d'olio le nostre lampade, affinché non sieno estinte al suo arrivo. Riempiamo il nostro cuore di carità: essa sola è eterna; essa sola può raddolcire quel momento.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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