Amate quegli infelici perché son vostri figli, per quello che hanno sofferto, per l'occasione che v'hanno data di udir la voce sincera del vostro pastore, per l'amore che possono attirarvi da Dio. Amateli cordialmente, e saprete sempre quello che avrete da fare per essi».
«Monsignore», disse Don Abbondio, con voce commossa, «dinanzi a voi e dinanzi a Dio prometto di fare per essi tutto quello che potrò. Ma Vossignoria illustrissima pensi a mettere un buon guinzaglio a quel cane. Vossignoria ha avuta la degnazione di dirmi che avrebbe tremato per me povero prete: sappia, Monsignore, che v'è da tremare ancora, perché quando Vossignoria sarà a far del bene altrove, costui tornerà qui a fare alla peggio».
«Dio l'ha già atterrito senza di voi, senza di me», interruppe Federigo, «voi lo avete veduto fuggire: non è questo un pegno dell'aiuto celeste? Ma io non lascerò di mettere in opera ogni mezzo umano che sia in poter mio. Porrò in sicuro quella povera giovane, che non lo sarebbe forse qui: chiederò conto di quegli che le era promesso; e s'egli è innocente... se le mie parole possono giovargli... Dio buono son tanto sospette le parole in bocca nostra! Pure io spero in Dio. Quanto a quel Signore, spero pure di poter fargli sentire che v'è chi non ha paura di lui, e può fargliene. Ad ogni modo, ricordatevi ch'egli non può uccidere che il corpo, e temete Quel solo che può perdere il corpo e l'anima».
«Ah l'anima! è vero pur troppo!» disse Don Abbondio, lasciando interrotta la frase che il suo pensiero compì a questo modo: - ma se quel birbante mi dovesse uccidere il corpo, sarebbe dura -. «A proposito del corpo», disse poi dopo un momento, «non per dare un parere a Vossignoria illustrissima, ma per amore di quella regolarità che tanto le piace, mi faccio lecito di avvertirla che l'ora è avanzata, e che il mio povero pranzo non aspetta che Vossignoria».
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