Il Conte tra le acclamazioni della folla prese la via che conduceva al suo castello, e Don Abbondio tornò a casa.
Appena le due donne furono sole, Agnese svolse il rotolo, e in fretta in fretta si diede a noverare. «Dugento scudi d'oro!» sclamò poi: «quanta grazia di Dio! Non patiremo più la fame certamente».
«Mamma», disse Lucia, «poiché quel signore ci ha costrette ad accettare questo dono, e ha preteso che fosse una restituzione... quei denari non sono tutti nostri. Non siamo noi sole che abbiamo sofferti danni... non sono io sola che abbia dovuto fuggire, intralasciare i miei lavori. Io sono tornata finalmente... e se non istarò qui, ho almeno chi pensa a me, chi non mi lascerà mancare di nulla... Un altro è lontano, e che Dio sa quando potrà tornare. Mi parrebbe di aver rubati quei denari, se almeno almeno non gli dividessi con lui».
«Glieli porterai in dote», disse Agnese, studiandosi di rotolare come prima gli scudi, che facendo pancia da una parte o dall'altra sfuggivano dalle sue mani inesperte.
«Non parliamo di queste cose, mamma», disse Lucia sospirando; «non ne parliamo. Se Dio avesse voluto... ah! le cose non sarebbero andate a quel modo. Non era destinato che fossimo... non ci pensiamo per carità».
«Ma s'egli torna», voleva cominciare Agnese.
«È lontano, è profugo, ramingo... ah! c'è altro da pensare: forse egli stenta, forse non ha pane da mangiare. Forse con questo ajuto, egli potrà collocarsi bene altrove, farsi un avviamento, uno stato...»
«Ohe!» disse Agnese, «tu non pensi più a lui?
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