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      Oltre di che Federigo è personaggio tanto amabile, nelle sue azioni anche le più comuni v'è sempre una tale espressione di gentilezza, di bontà, che fa riposarvi sopra la fantasia con diletto; e cogliere ogni pretesto per rimanere il più che si possa in una tale compagnia. Che se qualche lettore osasse dire che noi ve lo abbiamo trattenuto troppo a lungo, osasse confessare d'aver provato un momento di noja, bisognerebbe concluderne delle due cose l'una: o che noi raccontiamo in modo da annojare anche con una materia interessante; o che questo lettore ha un animo ineducato al bello morale, avverso al decente, al buono, istupidito nelle basse voglie, curvo all'istinto irrazionale. Ma il primo di questi due supposti è manifestamente improbabile, a parer nostro. Veniamo al racconto.
      Dalle Chiese delle quali abbiamo parlato si era Federigo trasportato a visitar quelle della valle di San Martino che era allora nel dominio veneto e nella diocesi milanese; e per tutto dov'egli si andava fermando, oltre la folla dei parrocchiani, la chiesa, la piazza, la terra formicolavano di moltitudine accorsa dai luoghi circonvicini. In una di quelle terre avendo egli sbrigate nella sera stessa del suo arrivo, le principali faccende, aveva egli disegnato di partire prima del pranzo, per giungere più tosto alla stazione vicina. Era la chiesa dov'egli si trovava, posta sulla cima d'un lento pendio che terminava in una vasta pianura. Celebrati i santi misteri si volse egli dall'altare per favellare al popolo, e stendendo dinanzi a sè il guardo che dalla elevazione dell'altare poteva trascorrere per la porta spalancata sul pendio e nel piano sottoposto, vide dalla balaustrata del presbitero, nella chiesa, sul pendio, nel piano, una calca non interrotta, come un selciato continuo di teste e di volti; se non che al di fuori quella superficie uniforme era interrotta da tende alzate che facevano parere quel luogo un campo, o una fiera; guardando poi più fisamente scerse fra quella moltitudine abiti diversi di ricchezza e di foggia che dinotavano una varietà di condizioni e di paesi.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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