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      Se quel tozzo di pane fosse stato mangiato da un generale in presenza di venti mila cadaveri, sarebbe in tutti i discorsi, in tutti i libri; nessun fedele umanista avrebbe potuto evitare di farvi sopra almeno una amplificazione in vita sua. Eppure la ragione dice che quel tozzo di pane, solo cibo d'un uomo che avrebbe potuto nuotare nelle delizie, e che se ne asteneva per un sentimento profondo della dignità umana, e per dar pane a chi ne mancava, quel tozzo di pane mangiato tra le fatiche d'un ministero di misericordia, di pace, e di pietà, dovrebb'essere una rimembranza più cara agli uomini che non quel salino e quel piattello che copriva la mensa d'un uomo che era sobrio per potere esser forte contra gli uomini; che godeva di essere un povero Fabricio per essere un potente Romano. Le idee di cui si componeva il sentimento temperante di questo erano superbe, ostili, sprezzanti, superficiali: quelle di Federigo umane, gentili, benevole, profonde. In quello stesso convito di Pirro, dove Fabricio diede quelle prove della sua fermezza e della sua astinenza, lasciò egli trasparire manifestamente quel suo animo: ivi all'udire le dottrine epicuree esposte da Cinea, disse egli quelle atroci parole, tanto lodate dagli antichi, e, chi lo crederebbe? dai moderni: «Oh Ercole!» (il santo era degno del voto) «Oh Ercole!» diss'egli: «fa che queste dottrine sieno ricevute dai Sanniti e da Pirro fin tanto che saranno nemici del popolo romano». Ma il nostro mangiator di pane avrebbe avuto orrore di sè, se avesse potuto anche un momento desiderare la perversità ai suoi nemici, ai nemici del suo popolo.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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