Guardò più da vicino, si abbassò, ne ricolse uno: era un pane tondo, bellissimo, e d'una pasta, di cui Fermo non ne aveva ancor mangiato molte volte: «È pane davvero!» sclamò egli ad alta voce, tanto ne fu maravigliato. «Così lo seminano in questo paese? e non si fermano a raccorlo quando cade? che venga da sè come i funghi?»
Fermo aveva camminato dieci miglia, e sentiva appetito; e già al primo entrare si era proposto di fermarsi alla prima bottega di fornajo che avrebbe incontrata: ché non sapeva che in quel giorno a quell'ora in Milano v'era pane da per tutto quasi fuorché da' fornaj. Trovandone ora così a proposito, stette egli un momento a pensare se gli fosse lecito profittare di quella ventura; e disse tosto: - L'hanno gettato alla balìa dei cani che passano: è meglio che ne profitti un cristiano: alla fin fine, se viene il padrone, glielo pagherò. - Fatto questo proponimento raccolse un pane, se lo pose in una tasca, ne raccolse un secondo, e lo pose nell'altra; e raccolto il terzo cominciò a mangiare. Frattanto vide gente che veniva dall'interno della città, e adocchiò curiosamente i più vicini, avido di scoprire qualche cosa che gli rendesse chiaro quel poco che aveva veduto fino allora. Erano un uomo e una donna che si traevano dietro un ragazzotto, tutti e tre curvati sotto una carica, e in un aspetto strano. Avevano l'abito e il volto infarinato, il volto per sopra più stravolto, camminavano come affaticati e dogliosi, come se fossero stati pesti, e parevano venire da qualche trambusto.
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Fermo Milano
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