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      Quel compito signore a cui Fermo aveva domandato del Padre Bonaventura gli aveva dato così chiaro indirizzo che era impossibile andare in fallo: del resto tutte le chiese e i conventi dei cappuccini avevano come una fisonomia speciale, e chi ne aveva veduto uno ne avrebbe riconosciuto un altro a prima vista. Fermo s'avvicinò alla porta, cavò la lettera di seno, e tirò il campanello. S'aperse lo sportello, e il portinajo alla grata domandò chi era.
      «Uno di fuori che ha una lettera pel padre Bonaventura», rispose Fermo.
      «Non è in convento», disse il portinaio.
      «Mi lasci entrare, e starò ad aspettarlo», replicò Fermo.
      «Fate una cosa», disse il frate: «andate ad aspettare in Chiesa, o dove volete, che per ora non si entra»; e, detto questo, chiuse lo sportello.
      Fermo rimase interdetto: egli si era proposto quel convento come un punto di riposo, e un ricovero dai pericoli di una città nella quale egli non conosceva nessuno, non aveva che fare, e che era in tumulto. Sulla prima egli volle seguire il consiglio del portinajo, e ricoverarsi in chiesa; ma lo spettacolo di quella moltitudine sciolta da ogni legge, di quella attività clamorosa, di quella fratellanza di tanti che non avevan fra loro altra relazione che la complicità di quel momento, lo attirava; la curiosità vinse, e Fermo disse fra sè: - andiamo a vedere -. Mentre egli si avvia tra la folla al centro della città e del trambusto, noi parleremo brevemente, se sarà possibile, delle cose che furono l'origine e il pretesto di esso.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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