Ma questa poca preda non bastava alla voglia di tutti, né il fatto fin allora a coloro che avevano fatto conto su un garbuglio più grande. S'intese una voce che diceva: «andiamo ai forni».
«Ai forni! ai forni! sono il buco dei ladri, la fucina della carestia». «Ai forni! ai forni!» rispose il coro.
In quella via torta, angusta, e frequentata che va dal Leone di Porta orientale al duomo, v'era già a quei tempi un forno che sussiste tuttavia, con lo stesso nome, che in toscano viene a dire: forno delle grucce, e nel suo originale milanese è espresso con parole di suono tanto eteroclito e bisbetico che l'alfabeto comune della lingua italiana non ha il segno per indicarlo.
Quivi si addrizzò la folla.
I fornaj che avevano veduto tornare il fattorino svaligiato e rabbaruffato, e intesa la sua relazione, stavano già in sospetto, e pensavano a guardarsi. All'avviso della visita che si avvicinava, mandarono in folla ad avvertire il Capitano di giustizia, e a chiedergli ajuto. Questi che stava all'erta aspettandosi che la sua presenza sarebbe domandata in qualche luogo, accorse tosto, e con alcuni alabardieri arrivò che la moltitudine cominciava a spessarsi dinanzi alla bottega. «Largo, largo», gridava il capitano, gridavano gli alabardieri, e si appostarono sulla porta. La folla si condensava vie più, quei di dietro spingendo i primi. «Figliuoli, a casa... che cosa è questa?... animo... via gente dabbene, buoni figliuoli... ahi canaglia!» Una pietra lanciata dalla retroguardia degli assalitori colpì la cucuzza del Capitano all'ultima sillaba di figliuoli.
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