Le cose erano a questo punto quando Fermo si avanzava sulla via appunto di quel forno dove aveva cominciato ed era maggiore il tumulto. Andava egli ora spedito, or ritardato tra una folla di gente che procedeva verso il campo di battaglia, e di gente che tornava carica: guatava andando, e origliava per conoscere un po' più chiaramente lo stato delle cose. V'era un ronzio confuso di clamori e di discorsi: noi riferiremo quei pochi che Fermo potè intendere a misura che mutava di vicini, procedendo tra la calca, e sostando di tratto in tratto per una qualche fermata improvvisa della moltitudine.
«Ecco scoperta l'impostura infame di quei birboni che dicevano, che non c'era pane, né farina, né frumento. Adesso si vede la cosa sincera, e non ce la potranno più dare ad intendere. Viva l'abbondanza!»
«Vi dico io, che tutto è niente, è un buco nell'acqua, se non si fa una buona giustizia di quei birboni. Metteranno il pane a buon mercato, ma hanno proposto di attossicarlo per ammazzare la povera gente. Hanno posto il partito nella giunta, e io lo so di certo, l'ho inteso con questi orecchi da una mia comare che è amica della lavandaja d'uno di quei signori».
«Largo, largo, signori, dieno il passo ad un povero padre di famiglia che porta da mangiare a cinque figliuoli che muojono di fame». Così diceva uno che barcollava sotto un gran sacco di farina; e i vicini si stringevano per dargli il passo.
«No, no, no», diceva sommessamente, e con aria misteriosa all'orecchio d'un suo compagno, un altro.
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Fermo Fermo
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