Fermo parlò assai, perché come abbiam detto era giunto quivi con una gran sete, e il vino non mancava.
Lo sconosciuto aveva già intese dalla bocca di Fermo, e registrate attentamente nella memoria molte cose che erano per lui tesori; ma gli mancava una notizia importante, e pensò a procacciarsela. Disse dunque a Fermo: «converrà che voi avvisiate l'oste che avete intenzione di dormir qui affinch'egli vi prepari la stanza».
«È vero», rispose Fermo, e chiamato l'oste: «avete», disse, «una buona stanza, un buon letto da darmi? da povero figliuolo, ma una cosa pulita».
«Starete da principe», disse l'oste, e fattosi ad un armadietto che era appeso ad una parete ne tolse un pezzetto di carta, un picciolo calamajo, e una penna, quindi accostatosi a Fermo: «in grazia», disse, «il vostro nome?»
«Il mio nome?» rispose Fermo, a cui il vino sincero dell'oste aveva portate tutte le passioni ad un grado lirico. «Che cosa volete fare del mio nome? Avete paura ch'io non vi paghi? Se fossi un tiranno con dieci bravi al mio servizio potreste dubitare, ma sono un povero figliuolo, e non son uomo da dare un canto in pagamento a nessuno».
«Boh! non dico per questo», rispose l'oste: «ma v'è una grida molto severa che «ordina ed espressamente comanda» sono parole della grida, e la so a memoria: «comanda» dice «a tutti gli osti e tavernaj, camere locande etc. che ogni notte,» dice «giorno per giorno, dia notizia e relazione di tutte le persone che alloggeranno etc. specificando» dice «il giorno dell'arrivo di ciascuno, nome e cognome, e di che nazione sarà, a che negozio viene,» dice.
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