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      Quivi Fermo si guardò intorno, e disse: «bene! bravo! galantuomo! son contento». Poscia forzandosi di fissare in faccia all'oste due occhietti che luccicavano e si oscuravano a vicenda come lucciole, appoggiandosi sul destro piede per chinarsi verso l'oste, e ricadendo poi indietro sul sinistro, stendendo verso la faccia dell'oste la mano coll'indice e col medio tesi piegati al mezzo, e aperti, per farle quella carezza di protezione amorevole che in milanese si chiama una mezz'oncia, senza però poter mai giungere ad afferrare quella guancia liscia e rubiconda dell'oste, disse con una cera tra amichevole e corrucciata:
      «Ah! oste, oste! furbaccio! tu mi hai voluto fare un tiro da nimico... ma, la ti è venuta busa, perché... perché io sono un mariuolo... e tu però non hai trattato bene, perché... tu dovresti tener la parte dei buoni figliuoli... e non di quelli che fanno le gride, perché... quelli che fanno le gride, non vengono a bere il tuo vino... povero minchione che tu sei... e non ti danno un becco d'un quattrino perché... sono superbi, e avrebbero paura di sporcarsi la tonaca e... non sono gente di buona compagnia... che basta veder il Ferrer, che è il meglio di tutti e pare... un dottore di medicina ammalato... dunque chi ti fa andare la bottega... chi è, chi non è... sono i buoni figliuoli».
      L'oste, il quale non avrebbe creduto che Fermo fosse ancora in caso di mettere insieme tante parole con un senso tal quale, pensò di approfittare di quel momento lucido per fargli intendere la ragione, e schifare un impaccio a tutti e due, e gli disse:


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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