Entrò, salì, fu introdotto e fece ad un ufiziale, la sua relazione, come era capitato all'osteria uno che non aveva voluto dare il suo nome, e come egli oste dopo d'averlo ammonito di obbedire alle gride, dovette tacere per non far nascere uno scandalo.
«Lo sapevamo», rispose l'ufiziale, con aria di importanza e di mistero: «ma voi avete ben fatto di compiere il vostro dovere. Ora badate a non lasciarlo partire costui».
«Col dovuto rispetto a Vossignoria», rispose l'oste, il quale con tutta la sua prudenza, non aveva potuto a meno di non prendere un po' di quegli spiriti arditi di che era piena l'aria in quel giorno, «col dovuto rispetto, io faccio l'oste e non il birro: ho fatto il mio dovere: a lor signori tocca ora».
«Va bene, va bene», rispose l'ufiziale, il quale con tutta la sua arroganza non aveva potuto a meno di non tremare un po' in tutta quella giornata, e non sapeva ancora bene a che punto le cose si fossero. L'oste ne andò pei fatti suoi.
La prima informazione, come il lettore se n'è addato certamente, era venuta da quella falsa guida, la quale, per darne piena contezza, non era niente meno che un bargello travestito, in traccia d'uno che gli desse una occasione di farsi onore e merito, eseguendo gli ordini assai difficili che gli erano imposti: e quest'uno fu il nostro povero Fermo.
Nel momento in cui la sommossa era al maggior grado di fermento e l'assedio posto alla Casa del Vicario, molti magistrati, scapolando furtivamente per vicoli, e per vie deserte s'erano riuniti nelle sale del consiglio segreto, e quivi avevano consultato non senza tremore sulla urgenza del caso.
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Vossignoria Fermo Casa Vicario
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