«È stata una provvidenza vedete», disse il mercante «che l'abbiamo fatta finir presto: altrimenti, arte per arte, saccheggiavano tutte le botteghe di Milano coloro».
«Ma per noi foresi non si farà niente?» domandò un altro: «i milanesi a buon conto hanno il pane a buon mercato: e noi, povera gente?»
«Sarà quel che Dio vorrà», disse il mercante, vuotando l'ultimo bicchiere, ed asciugandosi la barba col mantile. «Non sapete che jeri hanno guastata, e gittata tanta farina quanta basterebbe a dar da mangiare per due mesi a tutto il ducato?»
«Dunque», disse quegli, «ha da patire il buono pel cattivo?»
«Ma non avete inteso che gl'impiccheranno?» rispose il mercante.
«L'ho sempre detto io», disse un altro «che a muover garbugli si fa peggio. Se i milanesi avessero avuto un po' di giudizio, dovevano porre le mani addosso a quegli che cominciarono a parlare di far chiasso, e legarli come salsicce, e condurli alla giustizia».
La conversazione continuava, ma Fermo ne aveva udito a bastanza: egli se ne era stato cheto cheto, con l'animo d'un autore che trovandosi sconosciuto presso tre o quattro uomini di buon gusto, sente fare il processo all'ultima sua opera: quel poco boccone tanto desiderato gli era tornato in veleno: però dal veleno pensò a cavare il rimedio d'un buon consiglio; si alzò, con aria indifferente, pagò il suo scotto, e uscì dall'osteria, risoluto di non fermarsi fin che non fosse giunto sotto le ali del leone serenissimo di San Marco. Si avviò su la strada maestra, premuroso di giunger presto, confidando nelle tenebre che cominciavano a stendersi su la terra; ma appena dati alcuni passi, pensò che il passaggio al confine sarebbe stato pericoloso più di notte che di giorno, e si sovvenne che vi doveva esser l'Adda da passare.
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