Già da molto tempo aveva egli divorato a furia di sfarzo, e lasciato divorare a furia di negligenza e d'imperizia il suo patrimonio libero; e sarebbe egli rimasto povero del tutto e per sempre, se un suo sapiente antenato non avesse anticipatamente provveduto a quel caso, istituendo un pingue fedecommesso. Don Valeriano quindi, benché nell'animo non fosse molto dissimile dal selvaggio di Montesquieu, non poteva, com'egli, abbatter l'albero per coglierne il frutto: e non poteva far altro che lanciar pietre al frutto per farlo cadere acerbo e ammaccato. Viveva di prestiti: e per trovarne doveva ricorrere ai più spietati usuraj; e subire le più rigide leggi che essi sapessero inventare, e per supplire alla legge comune che non dava loro alcun mezzo di ricuperare il prestato, e per pagarsi del rischio. E siccome nelle idee di Don Valeriano le pompe e il fasto tenevano il primo luogo, così alle pompe e al fasto erano tosto consecrati i denari che toccavano le sue mani; e il necessario pativa.
In mezzo a queste cure incessanti Don Valeriano non aveva lasciato di coltivare il suo ingegno, e senza essere un dotto di mestiere, poteva passare per uno degli uomini colti del suo tempo. Possedeva una libreria di varie materie, la quale per poco non aggiungeva ai cento volumi; e aveva impiegato su quelli abbastanza tempo e studio per avere una cognizione fondata nelle scienze più importanti e più in voga: teneva i principj, e quindi non era mai impacciato nelle applicazioni. L'astrologia era uno di quei rami dell'umano sapere, nei quali Don Valeriano era versato.
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