Di più non aveva ancora saputo scegliere un asilo, e senza farne mostra, era tormentato dallo stesso timore che Agnese. Girava il pover uomo per la casa tutto affannato e stralunato, non sapendo che farsi, se la prendeva quando col duca di Nivers, come diceva egli, che avrebbe potuto rimanersi in Francia e voleva a forza esser duca di Mantova, quando col duca di Savoja che voleva ingrandirsi, quando coll'imperatore che stava su certi puntigli, e quando con Don Gonzalo di Cordova che non aveva saputo mandare quei diavoli per un'altra strada. Bestemmiava ancor più la durezza dei suoi parrocchiani che non volevano dargli ajuto. - Oh che gente! -, sclamava - che gente! ognuno pensa a sè! non c'è carità! - Si faceva alla finestra, e chiamava quelli che passavano con una certa voce mezzo piagnolente, e mezzo rimbrottevole. «Venite a dare una mano al vostro curato, se avete viscere di misericordia; non siate così cani. Ajutatemi a portar via quei pochi stracci, quei pochi stracci» ripeteva, perché nessuno sospettasse ch'egli avesse cose preziose da salvare. «Aspettatemi, che venga anch'io con voi; aspettate almeno che siate quindici o venti, tanto da potermi guardare, ch'io non sia abbandonato. Volete voi lasciarmi solo in man dei cani? Meritereste che il vostro parroco fosse spogliato, ammazzato. Misericordia! Fermatevi dunque». - Eh! tiran di lungo. Oh che gente!
Bisogna dire che Don Abbondio fosse ben accecato dalla paura per parlare a quel modo. Quegli a cui egli faceva quelle preghiere e quei rimproveri, passavano dinanzi alla sua casa curvi sotto il peso delle robe loro, quale trascinandosi dietro la sua vaccherella, quale traendosi dietro i figli che a stento lo seguivano, e la donna che portava quegli che non potevano camminare, quale reggendo un vecchio o un infermo.
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