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      Lo squadrone volante dei Veneziani si mosse anch'esso per tener dietro al movimento dell'esercito alemanno su la riva opposta dell'Adda, fin dove ella era confine fra i due stati, e portarsi poi sull'Oglio a fare la stessa processione. Quando le due retroguardie furono distanti una giornata dal castello, gli ospiti ne uscirono come uno stormo di passere si sparpaglia all'intorno dai palchi aerei e fronzuti d'una gran quercia dove erano accorse a ricoverarsi dalla tempesta. Don Abbondio avrebbe voluto gittarsi d'un volo al suo nido, per mirar tosto cogli occhi proprj il suo dolore, e il guasto che v'era stato fatto, e nello stesso tempo perché i barberini, vedendo la casa abbandonata, non venissero a portar via quello che i barbari avevan potuto lasciare. E poi, per quanto il Conte avesse dato segni e prove d'esser divenuto un galantuomo, Don Abbondio non l'aveva potuto guardar mai in volto senza ricordarsi dell'uomo brusco che era stato altre volte, e non istava con lui di buon animo, massime in picciola brigata. Ma dall'altra parte lo riteneva la paura di abbattersi in qualche lanzichenecco sbandato, rimasto addietro alla busca, e di affogare in porto. Era quindi sempre su le mosse, sempre s'indugiava, domandando novelle dei contorni a tutti coloro che giungevano al castello; e le novelle erano dolorose. Quei pochi rimasti colla speranza di guardar le case, o discesi troppo presto, erano trovati sbigottiti, storditi dalle percosse e dallo spavento: ogni arredo, ogni masserizia sparita, e in quella vece nelle case, un impatto di strame, tizzoni di mobili arsi, greppi di stoviglie, sfracellate per istrazio dopo avervi bevuto il vino rubato, schifezze d'ogni genere, un tanfo che toglieva il respiro; dimodoché ognuno tornando con ansia alla casa derelitta, ne usciva alla prima con fastidio, e doveva farsi forza a poco a poco per rientrarvi a renderla di nuovo abitabile.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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