Ora, prima di tutto è cosa troppo evidente che il tribunale della sanità non poteva impedire che entrasse la peste nello stato, quando v'entrava un esercito nel quale era appiccata. Fin da quando si seppe che la calata di questo esercito era risoluta, quei poveri galantuomini, - e questo fu veramente un abbondare in cautela - rappresentarono al Signor Don Fernando Gonzales di Cordova la rovina che infallibilmente ne sarebbe venuta al paese: ma Don Fernando Gonzales di Cordova rispose chiaramente che il fine politico per cui si faceva passare quella truppa, importava più che non la sanità pubblica. Non parlò dunque con esattezza quel valentuomo, il quale in un libretto, per altro lodevolissimo, ricercando le cagioni per cui quella peste fu tanto micidiale in Lombardia, nota per la prima «una somma spensieratezza nel lasciare indolentemente entrare nella patria la pestilenza»: e fa nascere questa spensieratezza «dalla ignoranza e dalla sicurezza nei loro errori, che formò il carattere dei nostri avi». La non fu spensieratezza; fu posponimento volontario, abbandono pensato della salute degli uomini; e quelli che lo commisero non sono nostri avi. A ciascheduno quel che gli si viene.
Ma data questa inevitabile ospitalità ad appestati, poteva il tribunale impedire ogni contatto dei paesani con quelli? Qui pure l'impossibilità è manifesta: poiché si trattava di migliaja d'uomini che violentemente si ponevano nelle case, occupavano i letti, prendevano, adoperavano, brancicavano, mal menavano le cose e le persone che potevano aver nelle mani.
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Signor Don Fernando Gonzales Cordova Don Fernando Gonzales Cordova Lombardia
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