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      «Tutto questo», diceva il Signor Lucio, «in grazia dei libri, dei sistemi, delle dottrine, che hanno scaldata la testa d'alcuni i quali per nostra sciagura, comandano. Non è ella cosa che fa rabbia, e pietà nello stesso tempo, il vedere quel buon vecchio di Settala, che potrebbe fare il medico con giudizio, e servirsi della sua buona pratica acquistata in sessant'anni, e del buon senso che gli ha dato la natura, vederlo, dico, perduto dietro sogni ridicoli, incaparbito contra il sentimento d'un pubblico intero, innamorato di quella sua idea pazza del contagio; perché? perché l'ha trovata nei suoi autori. Scienziati, scienziati; gente fatta a posta per creare gl'impicci».
      «Piano, piano», disse Don Ferrante, il quale benché occupato a dissertare in un altro crocchio aveva intesa quella scappata del Signor Lucio. «Piano, piano; se si tocca la scienza son qua io a difenderla».
      «Don Ferrante fa da buon cavaliere a prender le parti d'una dama che gli comparte tanti favori», disse una signora, e il tratto riscosse un mormorio di applauso da tutta la brigata.
      «Quand'anche ciò fosse vero», disse Don Ferrante, dopo aver pensato soltanto per un mezzo minuto, «una tale parzialità sarebbe da attribuirsi non al mio debol merito, ma alla innata benignità del sesso. Comunque sia», continuò egli, «son qui a provare che la scienza non ha colpa in quegli spropositi che si metton fuori sotto il suo nome».
      «Don Ferrante, con tutto il suo ingegno, non mi potrà sostenere», rispose il Signor Lucio, «che tutte quelle belle ragioni che si dicono da alcuni per far credere che vi sia la peste, il contagio, che so io, non sieno cavate dalla scienza».


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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