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      Contribuiva la facilità a credere delitti enormi, strani, intenzioni e disegni di una perversità infernale, gratuita capricciosa: facilità nata in parte da una esperienza troppo reale: non eran rari gli uomini che a forza di conceder delitti alle passioni loro eran giunti a segno, di farsi una passione e una gloria del delitto stesso. Dei veleni poi l'uso era tanto frequente, come attesta il cardinal Federigo in un suo trattatello su quella peste il quale si conserva manoscritto nella biblioteca ambrosiana, che ne eran comuni gli artefici e le officine.
      L'ignoranza e l'irriflessione portavano poi leggiermente una tale corrività a creder misfatti, al di là delle nozioni dell'esperienza; e specialmente in ciò che risguardava le nazioni straniere; l'orgoglio, una stolta rivalità, talvolta una infame politica facevano inventare alla giornata le più atroci imputazioni, o le interpretazioni più assurde di fatti reali: queste erano gettate in mezzo ad una popolazione che non aveva né le notizie di fatto, né le idee generali necessarie per farvi sopra un esame, né l'abitudine di esaminare: erano credute, ripetute, e disponevano le menti a crederne altre, formavano un criterio publico falso, corrivo, ed avventato. Contribuivano certe tradizioni confuse, ma ridette con asseveranza fra il popolo, di simili trame scoperte nella peste del 1576, e in altri tempi d'eguale sciagura. Contribuivano le stolte, e ancor più inescusabili erudizioni di molti dotti d'allora, che andavano a pescare nelle storie, e in narrazioni ancor più favolose, ogni menzione di pesti propagate con sortilegj, e con veleni, o come dicevano manofatte: materia pur troppo abbondante; giacché da quella peste che, al dir di Tucidide, gli Ateniesi supponevano cagionata da veleni gettati nei loro pozzi dai Peloponesi, fino alla peste di Roma che nel consolato di P. Cornelio Cetego, e di M. Bebio Tamfilo, cominciò, al dir di Livio, da un pianto del simulacro di Giunone Lacinia in Lanuvio, e da altri simili avvenimenti, non vi fu peste, quasi fino ai nostri giorni, della quale il popolo che la pativa non desse cagione in gran parte a frodi umane, o a prodigj superstiziosi.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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