Lo sventurato Rodrigo lo divenne: si divincolava, mandava urli, lanciava bestemmie contra i monatti, e più contra il Griso, ch'egli vedeva frugare insieme con quel compagno nei cassettoni, spezzar le serrature dello scrigno, cavarne il danaro, e far le parti; mentre colui che teneva il padrone dava un'occhiata a questo per tenerlo bene, e una occhiata a quegli altri, dicendo: «fate le cose da galantuomini, altrimenti...»
Il corpo e la mente di Don Rodrigo, già dissestati dal male, non ressero allo sforzo, al dibattimento, e a tanta passione: il meschino cadde tutto ad un tratto come sfinito e stupido; guardava però come un incantato; e di tratto in tratto dava qualche scossa, o usciva in qualche imprecazione. Fatte le parti, i monatti lo posero nella bussola, e lo portarono al lazzeretto.
Il Griso rimase a scegliere quel di più che poteva essere il caso suo; fece un fardello, e sfrattò. Ma in quella furia del frugare, egli aveva presi presso al letto i panni del padrone, e scossigli per vedere se vi fosse denaro; né in quel momento aveva badato a quello che si facesse. Se ne accorse però il giorno dopo, che preso dagli stessi accidenti che, con occhio così spietato, aveva mirati nell'infelice suo padrone, cadde infermo in una osteria, dove era andato a gozzovigliare; abbandonato da tutti, fu spogliato dai monatti anch'egli, trattato come aveva trattato altrui, e strascinato sur un carro al lazzeretto, dove finì.
Lasciando ora Don Rodrigo nel suo tristo ricovero, ci conviene andare in cerca d'un personaggio separato da lui per condizione, per abitudini, e per inclinazioni, e la storia del quale non sarebbe mai stata immischiata alla sua, se egli non lo avesse voluto a forza.
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