- Oh povero me! questo vi mancava! - continuò a borbottare fra sè Don Abbondio, ritirandosi dalla finestra. - Povero me! Se costui va a Milano, se trova Lucia, se tornano alle loro antiche pretese, ecco rinnovato l'imbroglio. Un cardinale che dirà: «voglio che si faccia il matrimonio», un signore che dice: «non voglio»: ed io tra l'incudine e il martello.
Basta... - disse poi soffiando dopo d'avere alquanto pensato -... muore tanta gente... che dovessero rimanere al mondo tutti quelli che si divertono a mettere le pulci nell'orecchio di me pover uomo!
Intanto Fermo arrivò alla casetta d'Agnese, la quale casetta, se il lettore se ne ricorda, era fuori del villaggio, solitaria. Alla vista di quel luogo una nuova tempesta sorse nel cuore di Fermo; diede egli un gran sospiro, e bussò.
«Chi è là?» gridò da dentro la voce d'Agnese: «state lontano; non bazzicate intorno alla porta; verrò a parlarvi dalla finestra». «Sono io», rispose Fermo; ma Agnese, non aspettando a basso la risposta aveva fatte in fretta le scale, e apriva la finestra. «Son io; mi conoscete?» disse ancor Fermo, quando la vide. «Oh Madonna santissima!» sclamò Agnese: «voi!» «Io», rispose Fermo; «sono il benvenuto?»
«Oh figliuolo!» sclamò di nuovo Agnese, «quanto vi avrei desiderato se non avessi avuto paura per voi! Ma ora che venite voi a fare?»
«A saper nuove di Lucia, e di voi», rispose Fermo. «A vedere se tutti si sono scordati di me. Che n'è di Lucia?»
«Figliuolo, sono mesi che non ne ho notizia: prima di quel tempo ella stava bene di salute; ma ora chi può sapere.
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