Questa storia fece molto piacere ad Agnese, e le rimise Fermo nell'antico buon concetto. «Voleva ben dire io!» sclamava ella di tratto in tratto. «Se sapeste come la raccontavano qui, in cento maniere l'una peggio dell'altra. Ma voi non me l'avete mai fatta scrivere ben chiara».
«E voi, madonna», disse Fermo, «non mi avete mai data soddisfazione sopra quello che io voleva sapere».
«Basta», disse Agnese, «lodato Dio che abbiam potuto parlarci una volta; valgon più quattro parole sincere di due ignoranti che tutti gli scarabocchj di questi sapienti. Ma voi come vi fidate di andare a Milano, dove vi hanno tanto cercato, dove...?»
«Chi mi conoscerà?» rispose Fermo, «non m'hanno visto che un momento; e il nome... ne piglierò un altro; non ci vuol gran lettera per questo; e poi chi volete che pensi a me ora? Hanno da pensare alla peste. Sono tutti in confusione. Muojono come le mosche, a quel che si dice... Ah! pur che viva Lucia!»
«Dio lo voglia!» sclamò Agnese; «e lo vorrà, io spero. Quella poveretta innocente ha tanto patito! Dio gli conterà tutto quel male, per salvarla ora. Ah! Fermo, io ho buona speranza; andate pure; mi sento tutta riconfortata dell'avervi veduto. Sento una voce che mi dice che i guaj sono alla fine; e che passeremo ancora insieme dei buoni momenti».
Fermo chiese del Padre Cristoforo, e Agnese non le seppe dir altro se non ch'egli era a Palermo che è un sito lontano, lontano, di là dal mare. Scontento, e perché sperava da lui ajuto e consiglio, e perché desiderava di raccontare a lui pure la storia genuina; e perché avrebbe riveduto volentieri quell'uomo pel quale sentiva tanta venerazione e tanta riconoscenza.
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