Disse però: «brav'uomo! vero religioso! è meglio ch'egli sia fuori di questi guai e di questi pericoli».
Agnese offerse a Fermo l'ospitalità per quella notte, con molte prescrizioni sanitarie però di lontananza, di cautela, di non toccar questo, di non avvicinarsi a quell'altro luogo.
Fermo accettò l'ospitalità ben volentieri e promise tutti i riguardi che Agnese desiderava. Era venuta l'ora della cena; e la massaja si diede ad ammanirla. Pose al fuoco la pentola per cucinarvi la polenta: Fermo, da giovane ben educato, voleva risparmiare la fatica alla donna, e fare egli il lavoro: ma Agnese, levando la mano: «guardatevi bene dal toccar nulla», disse; «lasciate fare a me». Fermo ubbidì; ed ella prese la farina, la gettò nell'acqua, la rimenava, dicendo: «Eh! altre volte era Lucia! basta il cuor mi dice che la mia poveretta verrà con me, e presto; e che staremo tutti in buona compagnia». Fermo sospirava. Agnese versò la polenta, raccomandando sempre a Fermo di non si muovere, di non toccare; poi andò a mugnere la vacca, tornò con una brocca di latte, dicendo: «vedete: quella povera bestia da sei mesi è la mia unica compagnia». Prese un bel pezzo di polenta, lo ripose sur un piattello, lo sporse a Fermo, stando più lontana che poteva, e stringendosi con l'altra mano la gonna d'intorno alla persona perché non istrisciasse agli abiti di Fermo; quindi allo stesso modo gli sporse una scodella di latte. Nel tempo della cena si parlò dei disegni di Fermo, Agnese gli diede istruzioni sul nome dei padroni di Lucia, gli comunicò le notizie confuse ch'ella aveva sul luogo della loro dimora; e questi discorsi gli tennero a veglia qualche ora dopo la cena.
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