I cadaveri v'erano ammonticati, e intrecciati insieme, quasi come un gruppo di serpi che lentamente si svolga al tepore della primavera: nudi lapiù parte, o male avviluppati in lenzuola cenciose. Dopo un carro che attraversò la via, ne venne un altro, e poi un altro: dieci ne contò Fermo. Di tratto in tratto, si vedevano i cadaveri, ad una forte scossa, tremolare sconciamente, e scompaginarsi; le gambe, le braccia, le teste con le chiome arrovesciate si svincolavano dal mucchio, e spenzolavano dal letto del carro, talvolta involte nelle ruote traevano seco i cadaveri sotto di quelle, come per mostrare che quello spettacolo poteva divenire ancor più disonesto e più miserando. Fermo ristette alquanto, fin che il convoglio fosse passato; e ripresa da poi la via, e giunto in capo a quella su la piazza di San Marco, presso il ponte che ne piglia il nome, vide di nuovo per di dietro quel sozzo corteggio, che per la via del pontaccio, si avviava alla fossa scavata fuori della porta comasina.
Ma un altro spettacolo, su quella piazza, attirò i suoi sguardi, e gli diede a pensare: erano due travi alzate e infisse nel suolo, e una corda passava dall'uno all'altro capo fra due carrucole. Fermo riconobbe (ella era cosa famigliare a quel tempo) l'abbominevole stromento della tortura; ma non sapeva perché fosse collocato in quel luogo. La sua maraviglia crebbe da poi quando ne incontrò uno per ogni piazza, in ogni via spaziosa. V'erano posti, affinché i deputati delle porte e delle parrocchie, muniti a questo d'ogni facoltà più arbitraria, potessero, immediatamente farvi tormentare chi loro paresse, o sequestrati che uscissero, o ministri disubbidienti, o violenti di qualunque sorta.
| |
Fermo San Marco
|