CAPITOLO VII
Così disposto, volse indietro, ma senza però ristarsi ancora dal correre, il volto più torvo e più cagnesco che avesse ancor fatto in vita sua per guatare quali, quanti, a che distanza fossero quei suoi persecutori; ma con maraviglia, e con un sentimento confuso di gioja gli vide tutto ad un tratto restar sui due piedi, in grande esitazione e su quelle figuracce alle brutte contrazioni del furore succedere le brutte contrazioni della paura. E tosto più presente a se stesso, scerse dinanzi a sè e non lontano, un apparitore, e dietro lui un carro coperto di cadaveri, intese i campanelli, lo scalpito, le ruote, le canzonacce dei monatti, tutto quello strepito che un momento prima percoteva le sue orecchie senza saputa della mente. Il terrore degli inseguenti per quella comparsa, fece tosto pensare a Fermo che per lui ella era salute: sentì egli che non era momento da far lo schifo: affrettò la corsa verso il carro, tolse la mira ad un picciolo spazio sgombro che vide in quello; spiccò un salto; ed eccovelo ritto, piantato sul destro piede, col sinistro in aria, e con le braccia alzate tuttavia dal lancio di tutta la persona.
«Bravo! bravo!» sclamarono ad una voce i monatti, altri che seguivano il convoglio a piedi, altri, seduti sui carri, altri, per dire la orribile cosa come ella era, seduti sui cadaveri trincando d'un gran fiascone che andava in giro. «Bravo! bel colpo!»
Gl'insecutori all'avanzare del carro avevano per la più parte volte le spalle, e fuggivano, gridando pure «dalli! all'untore!
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Fermo
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