» se mai qualcheduno più coraggioso di essi, volesse venire a compiere la buona opera; e a quei gridi rispondevano dalle finestre uomini e donne accorse al romore: «dalli! all'untore!» Alcuni però dei primi tentennavano, quasi non potessero rassegnarsi a vedere la fiera uscir salva dalla loro caccia, e digrignavano i denti, facevan gesti di minaccia a Fermo che gli guardava immobile dal carro.
«Lascia fare a me» gli disse un monatto; e strappato di dosso a un cadavere un laido cencio, lo rannodò in fretta, e presolo per un dei capi lo alzò verso quei feroci, come una fionda, fece atto di gittarlo, gridando: «aspetta canaglia». A quell'atto tutti dieder di volta inorriditi, e Fermo non vide più che schiene di nimici, e calcagna che ballavano rapidamente per aria. Fra i monatti si sollevò un urlo di trionfo, uno scroscio procelloso di risa, un «uh!» prolungato, come per accompagnare quella fuga.
«Ah ah! vedi tu se noi sappiamo proteggere i galantuomini», disse a Fermo quel monatto: «val più uno di noi che cento di quei poltroni».
«Certo io vi debbo la vita», disse Fermo: «e vi ringrazio di tutto cuore».
«Niente, niente», disse un altro di quei demonii: «te lo meriti, si vede che sei un bravo giovane. Fai bene d'ungere questa canaglia: ungili, estirpali costoro che non son buoni a qualche cosa che morti, o birboni; che hanno bisogno di noi, e ci maledicono, e vanno dicendo che, finita la moria, ci vogliono fare impiccar tutti. Hanno a finire prima essi che la moria; e rimarremo noi soli a gavazzare in Milano».
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Fermo Fermo Fermo Fermo Milano
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