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      E Fermo scorrendo tra quella folla per avviarsi alla porta di quel lato che tira lungo la strada maestra, Fermo doveva pure per quanto intollerabili gli fossero quegli oggetti, fissare sovr'essi lo sguardo perché fra essi, uno di essi, poteva essere quello di ch'egli andava in traccia. Giunto su quella porta, ristette sopraffatto dal nuovo spettacolo che gli si parava dinanzi e dattorno. Dinanzi, il vasto campo interno del lazzeretto, ingombro qua e là di trabacche, di capanne, coperto e animato da un popolo, del quale il veduto al di fuori non era che un saggio; e a destra e a sinistra le due interminate fughe di porticato spesse pure, e gremite, e brulicanti a quel modo: uno sciame, un trambusto, un rimescolamento da far vertigine, da offendere con subita fatica lo sguardo, quando fosse pure stata una festa. Il cuore di Fermo fu soverchiato a quella vista; ed egli stette un momento in fra due se dovesse tornarsene, e abbandonare una ricerca che superava le sue forze. Ma l'affetto dal quale egli era stato tratto su quel limitare, aveva pigliato ancor più forza dalla incertezza, e l'immagine di Lucia, forse inferma quivi, abbandonata, era divenuta più forte e più pietosa nell'animo di lui. Pensò che se egli si ritraeva allora da quel luogo, vi sarebbe stato ben tosto sospinto di nuovo da tutti i suoi pensieri: partirsi senza aver nulla saputo di Lucia, aspettarne le novelle, fin quando, da chi? partir dal luogo dove soltanto si poteva sperare di trovarla: fuggire da dove ella era forse a pochi passi di distanza.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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