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      Il volto del frate era mutato, ben più, e bene in altro modo che non avessero potuto fare per sè quei venti mesi cresciuti alla sua vecchiezza, né le fatiche. Gli occhi già così vivaci erano spenti, le guance scarne, sparute, tinte d'un pallore cadaverico, la voce aveva un non so che di crocchiante; e in tutto si vedeva una natura sopraccaricata, e quasi esausta, sostenuta e alimentata da una costanza interiore. Fermo con la trista pratica che aveva dovuta acquistare, s'addiede tosto che il suo buon protettore era colpito dalla peste, sicché invece di rispondere lo richiese ansiosamente: «Ma ella, padre, come sta ella?»
      «Come Dio vuole», rispose il vecchio, «non parliamo di questo. Ma tu, dimmi, come, perché sei tu in questo luogo? Perché vieni così ad affrontare la peste?»
      «L'ho avuta, e ne sono uscito salvo, grazie a Dio. Vengo a cercare... Lucia».
      «Lucia!» sclamò il Padre: «Lucia è qui?»
      «È qui», rispose Fermo, «se pure... v'è ancora».
      «È ella tua moglie?» domandò il Padre.
      «Ah no!» rispose Fermo con un sospiro; «ma s'ella vive... lo sarà, spero;... ne son certo... perché no? Oh padre! quante cose avrei da raccontarle!»
      «Padre Vittore!» gridò il vecchio ad un suo giovane confratello che girava quivi poco distante; e che accorse tosto: «Padre Vittore, fatemi la carità di attendere a questi miei poveretti mentre io me ne sto ritirato un quarto d'ora; se però alcuno mi volesse, compiacetevi di chiamarmi». Il Padre Vittore accettò l'incarico, e il Padre Cristoforo disse a Fermo: «Vien qua dentro con me: sii breve: le faccende son molte, come tu vedi, e il tempo è scarso, misurato.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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