.. Ma che? tu sei ben rifinito: hai tu bisogno di cibo?»...
«A dire il vero...», rispose Fermo.
«Piglia di quello che dà il convento», disse il frate con una frase usuale capuccinesca. E tolta una scodella, la riempì della minestra del pentolone, e la porse a Fermo: soggiungendo: «Quando la provvigione è finita, Iddio ne manda: più volte quando ci siam trovati lì lì per rimanere in secco, ci son venute le carra di roba, senza che sapessimo da chi mandate; né ancora lo sappiamo. Entra, e mangia questa carità; e avrai anche uova e pane, e un bicchiere di vino: tu ne hai bisogno, a quel che veggio». Così dicendo raccolse anch'egli la scodella che conteneva il resto del suo pranzo, ed entrò con Fermo nella capannuccia, e sedette con lui sul saccone che gli serviva di letto.
Fermo, tra un cucchiajo e l'altro raccontò succintamente la storia di Lucia, o la parte che gli era nota; come il frate di Monza l'aveva posta in guardia della Signora, come ella era stata rapita... «Gran Dio!» sclamò a quel punto il padre Cristoforo: «ed io... io l'ho indirizzata in quel paese! Ma voi sapete ch'io la toglieva da un pericolo evidente, e credeva di porla a salvamento. Parla», seguì poi con voce animata, «finisci questa storia dolorosa».
Fermo, in poco più parole che noi non ve ne impieghiamo, proseguì a narrare come Lucia fu condotta al castello del Conte del Sagrato, come mirabilmente da questo renduta alla madre, come collocata poi in casa di Don Ferrante. E qui il frate respirò più liberamente. Fermo narrò pure le sue imprese, non senza vergogna; la sua fuga, e la sua dimora in Bergamo, la sua risoluzione di venire a sapere che accadesse di Lucia, il suo viaggio a Lecco, le sue ricerche di quella mattina, e la notizia ch'egli aveva ricevuta da quella signora alla finestra, che Lucia era al lazzeretto.
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