..»
«Taci», interruppe il frate. «Credi tu che se vi fosse stata una buona ragione, io non l'avrei trovata in quarant'anni? perché, son quarant'anni ch'io vi penso, e grazie a Dio, per quarant'anni ne ho avuto dolore, e mi sono accusato: e ho pregato Dio che in segno del suo perdono eterno, Egli mi punisse in questa vita, che pigliasse la mia in sacrificio, come io aveva ardito disporre di quella d'un uomo; che mi facesse morire in servizio d'altrui; e spero d'essere esaudito. Non creder tu ora dunque di poter consolarmi: consolati piuttosto di essere tu in tempo a perdonare: non ispender vane parole; ascolta piuttosto le mie; v'è dentro il pensiero di tutta la mia vita, della men trista parte di essa. Sai tu perché io ho ucciso? Perché v'era una cosa ch'io amava troppo. Sì, figliuolo, ciò ch'io chiamava il mio onore, io lo amava ardentemente, sopra ogni cosa, come avrei dovuto amar Dio. E quando la vita d'un uomo... gran Dio! la vita d'uno fatto a vostra immagine! si trovò in confronto col mio onore, io gliel'ho sagrificata. M'hai tu inteso!»
Fermo tutto commosso, rispose sinceramente: «padre sì». In fatti egli intendeva qualche cosa di molto ragionevole, che bisogna amar Dio sovra ogni cosa, e non ammazzare. Ma l'intento di quel discorso non passava nel suo intelletto: l'uomo che esprime le idee che sono state per lui soggetto d'una lunga e ripetuta meditazione, è oscuro, senza volerlo, anche per gente più colta che non fosse il nostro giovane montanaro.
Il padre Cristoforo continuò: «Il mio affetto era stolto, e superbo: il tuo è ragionevole e buono; la mia era passione non solo d'uomo furioso, ma di ragazzo stolido; perché che voleva io? che voleva io ad ogni costo? camminar rasente il muro, e non pigliare il mezzo della via; e tu, tu pensi da uomo savio a desiderare per tua compagna una di quelle donne che il cielo destina come un premio ai buoni; quella che tu scegliesti, e che ti scelse.
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Dio Dio Dio Dio Dio Cristoforo
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