«L'avete creduto? e me lo dite? quando son qui...»
«L'ho creduto», disse Lucia troncando in fretta le parole appassionate di Fermo, «l'ho creduto, perché sarebbe stato meglio... è meglio».
Lucia aveva sempre tenuti gli occhi bassi; ma proferendo non senza fatica queste parole, chinò anche la testa, e la tenne appoggiata sul petto, come per riposarsi d'un grande sforzo.
«È meglio!» disse Fermo, stordito e contristato di quel mistero, e guardando fiso nel volto di Lucia per trovarvi la spiegazione di quelle tronche ed oscure parole. «È meglio! che cosa v'ho fatto io? è colpa mia se... Non sono io quello a cui avete promesso? Che vi mancava perché foste mia? un momento... e... ma gli ho perdonato, non siete voi più quella...? Dopo tanto sperare! dopo tanto pensare a voi! dopo... Parlate chiaro: dite che non mi volete più; dite il perché; non mi fate...»
«Fermo», disse con voce più riposata e solenne, Lucia che mentre egli parlava, aveva cercato di raccogliere tutte le sue forze. «Fermo! ascoltatemi tranquillamente: pensate dove siamo: vedete questa buona creatura che ha bisogno di quiete: ascoltatemi. Io non sarò mai di nessuno... e non posso più esser vostra».
«No non l'avete detta voi questa parola»; rispose Fermo, «no che non l'ascolto: che ho fatto io? perché? chi ve l'ha detto? chi è entrato fra voi e me? chi c'è entrato? voglio saperlo».
«Zitto zitto, non andate avanti, per amor del Cielo», disse Lucia. «Quando lo saprete, se siete ancora quello di prima, se temete Dio come una volta, non direte così».
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