Quando il poveretto fu spacciato, Fermo si mostrò, e il Padre Cristoforo andò a lui, che tosto gli raccontò la lietissima scoperta ch'egli aveva fatta di Lucia viva e sana, e quell'altra scoperta che era venuta, come a tradimento, a guastargli una tanta consolazione. Benché egli in questa parte del racconto volesse aver l'aria di chi propone un dubbio superiore ai suoi lumi aspettando il giudizio d'un sapiente, pure non lasciò scappare nessuna occasione di qualificare d'imprudenza e di pazzia quel voto che veniva per lui così male a proposito. Così faceva sentire che per la parte sua il giudizio era bell'e fatto; e intanto guardava attentamente al volto del Padre Cristoforo per iscoprire un pensiero, dal quale avrebbe potuto dipendere la sua sorte. Ma non potendo leggervi nulla, terminò con una aperta domanda: «Che ne dice, padre?» Il Padre stava pensoso: combattuto fra il desiderio di rivedere Lucia, e la speranza di consolarla forse, e il timore di rendersi colpevole, abbandonando per qualche tempo i suoi infermi.
Dopo essere così rimasto alquanto, pronunziò ad alta voce la conclusione del dibattimento che era stato tra i suoi pensieri. «Ho un dovere con quella creatura», diss'egli. «Dio l'aveva in altri tempi indirizzata a me, ed ora non me l'ha fatta venir così presso perché io ricusi di esserle utile. Andiamo».
Lasciò per la seconda volta i suoi ammalati alla cura del Padre Vittore, e si mosse con Fermo.
Questi andava innanzi tacito facendo la guida per quel triste labirinto, e dirigendosi al viale per cui era passato la prima volta, e il Frate pur tacito gli teneva dietro.
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