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      Il giorno stesso dell'arrivo in casa, la vedova per servire alle giuste premure della sua ospite mandò ai capuccini a chieder conto del Padre Cristoforo. Come il lettore l'avrà indovinato, il nostro buono e caro amico, era morto al lazzeretto. Lasceremo pure che il lettore s'immagini il dolore di Lucia; e senza più perderci in lungaggini, diremo che un bel giorno ella giunse alla sua casetta, in compagnia della vedova, in una delle più belle carrozze che usassero i mercanti d'allora. In quel frattempo, il contagio era cessato quasi da pertutto, e tutte le precauzioni erano dismesse. Agnese non istette dunque alla lontana dalla figlia, come aveva fatto con Fermo, ma le gettò le braccia al collo, e fece tosto una grande amicizia con la vedova. Fermo che era tornato e che stava quivi aspettando l'arrivo desiderato, si trovava in casa d'Agnese in quel momento. Le accoglienze, il tripudio di tutti non è da dirsi, e i discorsi, i racconti non sono da ripetersi: son cose che il lettore in parte sa, in parte può immaginarsi. Il giorno seguente, andarono tutti e quattro da Don Abbondio, il quale al tocco della porta accorse alla finestra, e veduta quella brigata, scese gemendo, e grattandosi in capo, ad aprire.
      Le accoglienze furon fredde, e imbarazzate: e a dir vero faceva proprio rabbia a vedere quella faccia svogliata e soffusa per dir così d'un mal umore e d'una stizza repressa, in mezzo a tanti aspetti allegri. Ma Fermo che conosceva il male del pover uomo, gli amministrò tosto la medicina con queste parole: «Quel signore è poi morto davvero». Don Abbondio non si abbandonò alla gioja da spensierato, ma volle sapere con che fondamento si affermasse una tale.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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