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      – Tutto, tutto, pare a voi: perché, abbiate pazienza, la bestia son io, che trascuro il mio dovere, per non far penare la gente. Ma ora... basta, so quel che dico. Noi poveri curati siamo tra l'ancudine e il martello: voi impaziente; vi compatisco, povero giovane; e i superiori... basta, non si può dir tutto. E noi siam quelli che ne andiam di mezzo.
      – Ma mi spieghi una volta cos'è quest'altra formalità che s'ha a fare, come dice; e sarà subito fatta.
      – Sapete voi quanti siano gl'impedimenti dirimenti?
      – Che vuol ch'io sappia d'impedimenti?
      – Error, conditio, votum, cognatio, crimen,
      Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas,
      Si sis affinis,... – cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.
      – Si piglia gioco di me? – interruppe il giovine. – Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?
      – Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa.
      – Orsù!...
      – Via, caro Renzo, non andate in collera, che son pronto a fare... tutto quello che dipende da me. Io, io vorrei vedervi contento; vi voglio bene io. Eh!... quando penso che stavate così bene; cosa vi mancava? V'è saltato il grillo di maritarvi...
      – Che discorsi son questi, signor mio? – proruppe Renzo, con un volto tra l'attonito e l'adirato.
      – Dico per dire, abbiate pazienza, dico per dire. Vorrei vedervi contento.
      – In somma...
      – In somma, figliuol caro, io non ci ho colpa; la legge non l'ho fatta io. E, prima di conchiudere un matrimonio, noi siam proprio obbligati a far molte e molte ricerche, per assicurarci che non ci siano impedimenti.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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