– Renzo! Renzo! per carità, badate a quel che fate; pensate all'anima vostra.
– Penso che lo voglio saper subito, sul momento –. E, così dicendo, mise, forse senza avvedersene, la mano sul manico del coltello che gli usciva dal taschino.
– Misericordia! – esclamò con voce fioca don Abbondio.
– Lo voglio sapere.
– Chi v'ha detto...
– No, no; non più fandonie. Parli chiaro e subito.
– Mi volete morto?
– Voglio sapere ciò che ho ragion di sapere.
– Ma se parlo, son morto. Non m'ha da premere la mia vita?
– Dunque parli. Quel "dunque" fu proferito con una tale energia, l'aspetto di Renzo divenne così minaccioso, che don Abbondio non poté più nemmen supporre la possibilità di disubbidire.
– Mi promettete, mi giurate, – disse – di non parlarne con nessuno, di non dir mai...?
– Le prometto che fo uno sproposito, se lei non mi dice subito subito il nome di colui.
A quel nuovo scongiuro, don Abbondio, col volto, e con lo sguardo di chi ha in bocca le tanaglie del cavadenti, proferì: – don...
– Don? – ripeté Renzo, come per aiutare il paziente a buttar fuori il resto; e stava curvo, con l'orecchio chino sulla bocca di lui, con le braccia tese, e i pugni stretti all'indietro.
– Don Rodrigo! – pronunziò in fretta il forzato, precipitando quelle poche sillabe, e strisciando le consonanti, parte per il turbamento, parte perché, rivolgendo pure quella poca attenzione che gli rimaneva libera, a fare una transazione tra le due paure, pareva che volesse sottrarre e fare scomparir la parola, nel punto stesso ch'era costretto a metterla fuori.
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Abbondio Renzo Abbondio Abbondio Renzo Rodrigo
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