Ma il padre sa, meglio di me, che ogni cosa è buona a suo luogo; e io credo che, questa volta, abbia voluto cavarsi, con una celia, dall'impiccio di proferire una sentenza.
Che si poteva mai rispondere a ragionamenti dedotti da una sapienza così antica, e sempre nuova? Niente: e così fece il nostro frate.
Ma don Rodrigo, per voler troncare quella questione, ne venne a suscitare un'altra. – A proposito, – disse, – ho sentito che a Milano correvan voci d'accomodamento.
Il lettore sa che in quell'anno si combatteva per la successione al ducato di Mantova, del quale, alla morte di Vincenzo Gonzaga, che non aveva lasciata prole legittima, era entrato in possesso il duca di Nevers, suo parente più prossimo. Luigi XIII, ossia il cardinale di Richelieu, sosteneva quel principe, suo ben affetto, e naturalizzato francese: Filippo IV, ossia il conte d'Olivares, comunemente chiamato il conte duca, non lo voleva lì, per le stesse ragioni; e gli aveva mosso guerra. Siccome poi quel ducato era feudo dell'impero, così le due parti s'adoperavano, con pratiche, con istanze, con minacce, presso l'imperator Ferdinando II, la prima perché accordasse l'investitura al nuovo duca; la seconda perché gliela negasse, anzi aiutasse a cacciarlo da quello stato.
– Non son lontano dal credere, – disse il conte Attilio, – che le cose si possano accomodare. Ho certi indizi...
– Non creda, signor conte, non creda, – interruppe il podestà. – Io, in questo cantuccio, posso saperle le cose; perché il signor castellano spagnolo, che, per sua bontà, mi vuole un po' di bene, e per esser figliuolo d'un creato del conte duca, è informato d'ogni cosa.
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