Devo dire i fatti miei! Anche questa è nuova. Son venuto a Milano per confessarmi, supponiamo; ma voglio confessarmi da un padre cappuccino, per modo di dire, e non da un oste.
L'oste stava zitto, e seguitava a guardar la guida, la quale non faceva dimostrazione di sorte veruna. Renzo, ci dispiace il dirlo, tracannò un altro bicchiere, e proseguì: – ti porterò una ragione, il mio caro oste, che ti capaciterà. Se le gride che parlan bene, in favore de' buoni cristiani, non contano; tanto meno devon contare quelle che parlan male. Dunque leva tutti quest'imbrogli, e porta in vece un altro fiasco; perché questo è fesso –. Così dicendo, lo percosse leggermente con le nocca, e soggiunse: – senti, senti, oste, come crocchia.
Anche questa volta, Renzo aveva, a poco a poco, attirata l'attenzione di quelli che gli stavan d'intorno: e anche questa volta, fu applaudito dal suo uditorio.
– Cosa devo fare? – disse l'oste, guardando quello sconosciuto, che non era tale per lui.
– Via, via, – gridaron molti di que' compagnoni: – ha ragione quel giovine: son tutte angherie, trappole, impicci: legge nuova oggi, legge nuova.
In mezzo a queste grida, lo sconosciuto, dando all'oste un'occhiata di rimprovero, per quell'interrogazione troppo scoperta, disse: – lasciatelo un po' fare a suo modo: non fate scene.
– Ho fatto il mio dovere, – disse l'oste, forte; e poi tra se: "ora ho le spalle al muro". E prese la carta, la penna, il calamaio, la grida, e il fiasco voto, per consegnarlo al garzone.
– Porta del medesimo, – disse Renzo: – che lo trovo galantuomo; e lo metteremo a letto come l'altro, senza domandargli nome e cognome, e di che nazione sarà, e cosa viene a fare, e se ha a stare un pezzo in questa città.
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