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      Renzo, visto il letto che l'aspettava, si rallegrò; guardò amorevolmente l'oste, con due occhietti che ora scintillavan più che mai, ora s'eclissavano, come due lucciole; cercò d'equilibrarsi sulle gambe; e stese la mano al viso dell'oste, per prendergli il ganascino, in segno d'amicizia e di riconoscenza; ma non gli riuscì. – Bravo oste! – gli riuscì però di dire: – ora vedo che sei un galantuomo: questa è un'opera buona, dare un letto a un buon figliuolo; ma quella figura che m'hai fatta, sul nome e cognome, quella non era da galantuomo. Per buona sorte che anch'io son furbo la mia parte...
      L'oste, il quale non pensava che colui potesse ancor tanto connettere; l'oste che, per lunga esperienza, sapeva quanto gli uomini, in quello stato, sian più soggetti del solito a cambiar di parere, volle approfittare di quel lucido intervallo, per fare un altro tentativo. – Figliuolo caro, – disse, con una voce e con un fare tutto gentile: – non l'ho fatto per seccarvi, né per sapere i fatti vostri. Cosa volete? è legge: anche noi bisogna ubbidire; altrimenti siamo i primi a portarne la pena. È meglio contentarli, e... Di che si tratta finalmente? Gran cosa! dir due parole. Non per loro, ma per fare un piacere a me: via; qui tra noi, a quattr'occhi, facciam le nostre cose; ditemi il vostro nome, e... e poi andate a letto col cuor quieto.
      – Ah birbone! – esclamò Renzo: – mariolo! tu mi torni ancora in campo con quell'infamità del nome, cognome e negozio!
      – Sta' zitto, buffone; va' a letto, – diceva l'oste.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





Bravo Figliuolo Renzo