Ma Renzo continuava più forte: – ho inteso: sei della lega anche tu. Aspetta, aspetta, che t'accomodo io –. E voltando la testa verso la scaletta, cominciava a urlare più forte ancora: – amici! l'oste è della...
– Ho detto per celia, – gridò questo sul viso di Renzo, spingendolo verso il letto: – per celia; non hai inteso che ho detto per celia?
– Ah! per celia: ora parli bene. Quando hai detto per celia... Son proprio celie –. E cadde bocconi sul letto.
– Animo; spogliatevi; presto, – disse l'oste, e al consiglio aggiunse l'aiuto; che ce n'era bisogno. Quando Renzo si fu levato il farsetto (e ce ne volle), l'oste l'agguantò subito, e corse con le mani alle tasche, per vedere se c'era il morto. Lo trovò: e pensando che, il giorno dopo, il suo ospite avrebbe avuto a fare i conti con tutt'altri che con lui, e che quel morto sarebbe probabilmente caduto in mani di dove un oste non avrebbe potuto farlo uscire; volle provarsi se almeno gli riusciva di concluder quest'altro affare.
– Voi siete un buon figliuolo, un galantuomo; n'è vero? – disse.
– Buon figliuolo, galantuomo, – rispose Renzo, facendo tuttavia litigar le dita co' bottoni de' panni che non s'era ancor potuto levare.
– Bene, – replicò l'oste: – saldate ora dunque quel poco conticino, perché domani io devo uscire per certi miei affari...
– Quest'è giusto, – disse Renzo. – Son furbo, ma galantuomo... Ma i danari? Andare a cercare i danari ora!
– Eccoli qui, – disse l'oste: e, mettendo in opera tutta la sua pratica, tutta la sua pazienza, tutta la sua destrezza, gli riuscì di fare il conto con Renzo, e di pagarsi.
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