Quella strada era, ed è tutt'ora, affondata, a guisa d'un letto di fiume, tra due alte rive orlate di macchie, che vi forman sopra una specie di volta. Lucia, entrandovi, e vedendola affatto solitaria, sentì crescere la paura, e allungava il passo; ma poco dopo si rincorò alquanto, nel vedere una carrozza da viaggio ferma, e accanto a quella, davanti allo sportello aperto, due viaggiatori che guardavano in qua e in là, come incerti della strada. Andando avanti, sentì uno di que' due, che diceva: – ecco una buona giovine che c'insegnerà la strada –. Infatti, quando fu arrivata alla carrozza, quel medesimo, con un fare più gentile che non fosse l'aspetto, si voltò, e disse: – quella giovine, ci sapreste insegnar la strada di Monza?
– Andando di lì, vanno a rovescio, – rispondeva la poverina:
– Monza è di qua... – e si voltava, per accennar col dito; quando l'altro compagno (era il Nibbio), afferrandola d'improvviso per la vita, l'alzò da terra. Lucia girò la testa indietro atterrita, e cacciò un urlo; il malandrino la mise per forza nella carrozza: uno che stava a sedere davanti, la prese e la cacciò, per quanto lei si divincolasse e stridesse, a sedere dirimpetto a sé: un altro, mettendole un fazzoletto alla bocca, le chiuse il grido in gola. In tanto il Nibbio entrò presto presto anche lui nella carrozza: lo sportello si chiuse, e la carrozza partì di carriera. L'altro che le aveva fatta quella domanda traditora, rimasto nella strada, diede un'occhiata in qua e in là, per veder se fosse accorso qualcheduno agli urli di Lucia: non c'era nessuno; saltò sur una riva, attaccandosi a un albero della macchia, e disparve.
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