– Vossignoria illustrissima non deve incomodarsi: mandeṛ io subito a chiamarli: è cosa d'un momento, – aveva insistito il curato guastamestieri (buon uomo del resto), non intendendo che il cardinale voleva con quella visita rendere onore alla sventura, all'innocenza, all'ospitalità e al suo proprio ministero in un tempo. Ma, avendo il superiore espresso di nuovo il medesimo desiderio, l'inferiore s'inchiṇ e si mosse.
Quando i due personaggi furon veduti spuntar nella strada, tutta la gente che c'era anḍ verso di loro; e in pochi momenti n'accorse da ogni parte, camminando loro ai fianchi chi poteva, e gli altri dietro, alla rinfusa. Il curato badava a dire: – via, indietro, ritiratevi; ma! ma! – Federigo gli diceva: – lasciateli fare, – e andava avanti, ora alzando la mano a benedir la gente, ora abbassandola ad accarezzare i ragazzi che gli venivan tra' piedi. Coś arrivarono alla casa, e c'entrarono: la folla rimase ammontata al di fuori. Ma nella folla si trovava anche il sarto, il quale era andato dietro come gli altri, con gli occhi fissi e con la bocca aperta, non sapendo dove si riuscirebbe. Quando vide quel dove inaspettato, si fece far largo, pensate con che strepito, gridando e rigridando: – lasciate passare chi ha da passare –; e entṛ.
Agnese e Lucia sentirono un ronźo crescente nella strada; mentre pensavano cosa potesse essere, videro l'uscio spalancarsi, e comparire il porporato col parroco.
– È quella? – domanḍ il primo al secondo; e, a un cenno affermativo, anḍ verso Lucia, ch'era rimasta ĺ con la madre, tutt'e due immobili e mute dalla sorpresa e dalla vergogna.
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Federigo Lucia Lucia
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