Andò dunque in camera, s'accostò a quel letto in cui la notte avanti aveva trovate tante spine; e vi s'inginocchiò accanto, con l'intenzione di pregare. Trovò in fatti in un cantuccio riposto e profondo della mente, le preghiere ch'era stato ammaestrato a recitar da bambino; cominciò a recitarle; e quelle parole, rimaste lì tanto tempo ravvolte insieme, venivano l'una dopo l'altra come sgomitolandosi. Provava in questo un misto di sentimenti indefinibile; una certa dolcezza in quel ritorno materiale all'abitudini dell'innocenza; un inasprimento di dolore al pensiero dell'abisso che aveva messo tra quel tempo e questo; un ardore d'arrivare, con opere di espiazione, a una coscienza nuova, a uno stato il più vicino all'innocenza, a cui non poteva tornare; una riconoscenza, una fiducia in quella misericordia che lo poteva condurre a quello stato, e che gli aveva già dati tanti segni di volerlo. Rizzatosi poi, andò a letto, e s'addormentò immediatamente.
Così terminò quella giornata, tanto celebre ancora quando scriveva il nostro anonimo; e ora, se non era lui, non se ne saprebbe nulla, almeno de' particolari; giacché il Ripamonti e il Rivola, citati di sopra, non dicono se non che quel sì segnalato tiranno, dopo un abboccamento con Federigo, mutò mirabilmente vita, e per sempre. E quanti son quelli che hanno letto i libri di que' due? Meno ancora di quelli che leggeranno il nostro. E chi sa se, nella valle stessa, chi avesse voglia di cercarla, e l'abilità di trovarla, sarà rimasta qualche stracca e confusa tradizione del fatto?
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Ripamonti Rivola Federigo
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