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      Al tocco della campana che annunziava vicino il cominciar delle funzioni, tutti si mossero verso la chiesa, e fu per le nostre donne un'altra passeggiata trionfale.
      Terminate le funzioni, don Abbondio, ch'era corso a vedere se Perpetua aveva ben disposto ogni cosa per il desinare, fu chiamato dal cardinale. Andò subito dal grand'ospite, il quale, lasciatolo venir vicino, – signor curato, – cominciò; e quelle parole furon dette in maniera, da dover capire, ch'erano il principio d'un discorso lungo e serio: – signor curato; perché non avete voi unita in matrimonio quella povera Lucia col suo promesso sposo?
      Hanno votato il sacco stamattina coloro
      , pensò don Abbondio; e rispose borbottando: – monsignore illustrissimo avrà ben sentito parlare degli scompigli che son nati in quell'affare: è stata una confusione tale, da non poter, neppure al giorno d'oggi, vederci chiaro: come anche vossignoria illustrissima può argomentare da questo, che la giovine è qui, dopo tanti accidenti, come per miracolo; e il giovine, dopo altri accidenti, non si sa dove sia.
      – Domando, – riprese il cardinale, – se è vero che, prima di tutti codesti casi, abbiate rifiutato di celebrare il matrimonio, quando n'eravate richiesto, nel giorno fissato; e il perché.
      – Veramente... se vossignoria illustrissima sapesse... che intimazioni... che comandi terribili ho avuti di non parlare... – E restò lì senza concludere, in un cert'atto, da far rispettosamente intendere che sarebbe indiscrezione il voler saperne di più.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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