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      – Pur troppo! – disse Federigo, – tale è la misera e terribile nostra condizione. Dobbiamo esigere rigorosamente dagli altri quello che Dio sa se noi saremmo pronti a dare: dobbiamo giudicare, correggere, riprendere; e Dio sa quel che faremmo noi nel caso stesso, quel che abbiam fatto in casi somiglianti! Ma guai s'io dovessi prender la mia debolezza per misura del dovere altrui, per norma del mio insegnamento! Eppure è certo che, insieme con le dottrine, io devo dare agli altri l'esempio, non rendermi simile al dottor della legge, che carica gli altri di pesi che non posson portare, e che lui non toccherebbe con un dito. Ebbene, figliuolo e fratello; poiché gli errori di quelli che presiedono, sono spesso più noti agli altri che a loro; se voi sapete ch'io abbia, per pusillanimità, per qualunque rispetto, trascurato qualche mio obbligo, ditemelo francamente, fatemi ravvedere; affinché, dov'è mancato l'esempio, supplisca almeno la confessione. Rimproveratemi liberamente le mie debolezze; e allora le parole acquisteranno più valore nella mia bocca, perché sentirete più vivamente, che non son mie, ma di Chi può dare a voi e a me la forza necessaria per far ciò che prescrivono.
      Oh che sant'uomo! ma che tormento! – pensava don Abbondio: – anche sopra di sé: purché frughi, rimesti, critichi, inquisisca; anche sopra di sé
      . Disse poi ad alta voce: – oh, monsignore! che mi fa celia? Chi non conosce il petto forte, lo zelo imperterrito di vossignoria illustrissima? – E tra sé soggiunse: "anche troppo".


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





Federigo Dio Dio Abbondio